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Il diario autentico di un volontario (inesperto), tra vita vissuta, umanità e resilienza

L’autore: Giuseppe Mele, un volontario (stra)ordinario.

Di Davide Cipollini

L’autore: Giuseppe Mele, un volontario (stra)ordinario

Giuseppe Mele nasce a Foggia il 13 ottobre 1975. Sin da giovane dimostra una spiccata curiosità per le dinamiche sociali e civili, interesse che si riflette nel suo percorso formativo e professionale. Dopo aver conseguito due lauree – una in Economia e Commercio, l’altra in Scienze Giuridiche – intraprende la carriera di funzionario pubblico, mettendo competenza e dedizione al servizio delle istituzioni. Dal 2004 si trasferisce in Lombardia, stabilendosi a Castiglione delle Stiviere, un comune del mantovano in cui trova non solo una nuova casa, ma anche una dimensione umana che alimenterà le sue scelte future.

Mele non è soltanto un uomo di legge e numeri: la sua personalità è arricchita da passioni sincere e concrete. È un bassista amatoriale in una rock band milanese, amante delle gare automobilistiche e dei motoveicoli d’epoca. Ma è nel 2018 che scocca la scintilla che cambierà profondamente la sua vita: entra nel mondo del volontariato diventando operatore della Protezione Civile. Una scelta nata da un’esigenza interiore, da quel senso di “impotenza utile” provato anni prima durante eventi sismici e catastrofici. Quel desiderio di “fare qualcosa”, inizialmente sospeso nel tempo, prende finalmente forma concreta.

Dal 2020 Mele assume il ruolo di coordinatore del Gruppo Intercomunale di Protezione Civile “Colli Morenici”, operativo in vari comuni del mantovano tra cui Cavriana, Solferino e Guidizzolo. È protagonista attivo in numerose emergenze, dal rischio idrogeologico alla ricerca di persone scomparse, fino alla pandemia di Covid-19 e all’alluvione dell’Emilia-Romagna nel maggio 2023. Oltre alla prontezza operativa, dimostra una costante disponibilità al miglioramento, conseguendo specializzazioni come capo squadra di pronto intervento, operatore di sala, segreteria mobile e antincendio boschivo elitrasportato.

Il suo impegno, sempre lontano dai riflettori, viene ufficialmente riconosciuto dalla Regione Lombardia con attestati di pubblica benemerenza e riconoscenza. Ma il valore più alto del suo operato non è scritto in un diploma: è custodito nei volti delle persone che ha aiutato, nei sorrisi restituiti, nel senso profondo di comunità che il suo esempio contribuisce ogni giorno a costruire.

Giuseppe Mele è un volontario “inesperto” solo per autoironia: nella realtà, la sua dedizione, la sua umiltà e la sua visione umana e concreta del soccorso lo rendono una figura (stra)ordinaria, capace di ispirare altri cittadini a compiere il primo passo verso il bene comune.

Il libro: diario di una crescita umana e civile

Ma chi me lo fa fare non è solo una raccolta di racconti: è una testimonianza viva, intensa, a tratti ironica, a tratti commovente. Mele si definisce “un volontario inesperto”, e in questo ossimoro si annida l’autenticità del suo sguardo. Il libro raccoglie episodi, riflessioni e memorie legate alla sua esperienza sul campo, dai piccoli interventi quotidiani ai grandi drammi collettivi, come la pandemia. Il tono è diretto, colloquiale, spesso divertente, ma mai superficiale. Non è un’autocelebrazione, bensì un viaggio nella solidarietà, nella fatica, nel dubbio, nell’errore e nella crescita.

La narrazione si apre con una serie di domande ricorrenti: “Ma ti pagano?”, “Perché lo fai?”. Da qui nasce l’urgenza di rispondere non con teorie, ma con storie. Storie vere. Storie di uomini e donne che, come lui, decidono di mettere a disposizione il bene più prezioso: il tempo. La Protezione Civile, nel racconto di Mele, diventa una comunità fluida, un porto di mare dove le persone vanno, vengono, restano, si ritrovano.

La parte psicologica: tra identità, consapevolezza e umanità

Uno degli aspetti più profondi e significativi dell’opera Ma chi me lo fa fare è il modo in cui Giuseppe Mele esplora l’esperienza del volontariato sotto il profilo psicologico ed emotivo. Dietro la leggerezza apparente di uno stile narrativo accessibile e ironico, si cela una riflessione sincera, stratificata e intensa sulla condizione umana, sul senso del dovere, sulla fatica del mettersi in gioco, e sul viaggio interiore che ogni volontario – inesperto o esperto che sia – compie a ogni chiamata.

Il volontariato, nelle parole dell’autore, non è mai soltanto un gesto pratico. È, prima di tutto, una trasformazione dell’identità. Ogni esperienza sul campo, ogni turno notturno, ogni emergenza, diventa un passaggio iniziatico, una prova che mette a nudo le proprie paure più profonde: il timore di sbagliare, di non essere all’altezza, di diventare un peso anziché una risorsa. Mele non nasconde questi timori, anzi, li espone con trasparenza, li accoglie, li normalizza. In questo, il suo racconto diventa un importante strumento di consapevolezza per chiunque abbia mai pensato di intraprendere un percorso simile, o semplicemente voglia comprendere cosa si nasconde davvero dietro la divisa fluorescente di un volontario.

Nel suo libro, la paura convive con il coraggio, la tensione con l’entusiasmo, l’incertezza con la forza della volontà. Mele ci mostra che fare volontariato significa anche accettare l’imperfezione, convivere con l’errore, e saperlo trasformare in occasione di crescita. La narrazione dell’”intervento fallimentare”, che inizialmente suscita frustrazione e senso di inadeguatezza, si trasforma – col tempo – in una lezione preziosa, una di quelle esperienze che aiutano a maturare più di tante teorie. L’autore guarda con indulgenza a sé stesso e ai suoi compagni di squadra, con quello sguardo umano che riconosce il valore dell’impegno anche nei momenti meno brillanti.

Non mancano momenti di grande intensità emotiva, come quando Mele racconta la perdita della sorella Stefania proprio nel giorno della sua nomina a coordinatore del gruppo intercomunale. Il contrasto fra il riconoscimento pubblico e il dolore privato imprime alla narrazione una dimensione profondamente esistenziale. È come se, da quel momento in poi, ogni gesto, ogni racconto, ogni azione, avesse un doppio destinatario: la comunità e lei, Stefania. Scrivere diventa allora un atto di amore, una forma di resistenza contro l’oblio, un modo per tenere viva la memoria e dare un senso ancora più profondo al proprio operato.

In tutto il libro, la psicologia del volontario emerge con autenticità: non come eroismo da copertina, ma come fragilità che si trasforma in forza. La figura del volontario, spesso idealizzata come infallibile o spinta solo da altruismo assoluto, viene qui restituita nella sua verità più concreta: un essere umano che sceglie di esserci, nonostante tutto, con i propri limiti, i propri dubbi, le proprie emozioni.

Mele ci guida, pagina dopo pagina, attraverso un percorso emotivo fatto di oscillazioni naturali: si passa dalla negazione alla consapevolezza, dalla paura all’orgoglio, dalla rabbia alla resilienza. E nel mezzo ci sono la fatica fisica, la frustrazione burocratica, la paura di essere giudicati, ma anche la gioia semplice e autentica di un sorriso ricevuto in cambio di un gesto di aiuto.

Il volontariato, alla fine, si rivela non solo un servizio verso l’altro, ma una strada per conoscersi meglio, per guarire qualche ferita, per ridare senso a ciò che siamo. In questo senso, Ma chi me lo fa fare è anche un piccolo manuale di crescita personale, scritto non da un esperto di psicologia, ma da un uomo che ha imparato a guardarsi dentro mentre guardava fuori.

Perché leggere questo libro

Ci sono libri che raccontano storie. E poi ci sono libri che raccontano vite. Ma chi me lo fa fare appartiene a questa seconda categoria: è una testimonianza vera, vissuta, pulsante, che riesce a parlare a tutti, anche a chi non ha mai indossato un giubbotto giallo fluorescente o non ha mai partecipato a un’operazione di emergenza. Ma è proprio questo il punto: l’opera di Giuseppe Mele ci riguarda tutti, perché parla di ciò che rende umani – la paura, la solidarietà, il desiderio di fare la propria parte, il bisogno di trovare un senso.

1. Perché è autentico.
Nel mare di narrazioni costruite, filtrate, levigate per piacere, questo libro si presenta nudo e sincero. Mele non indossa maschere né cerca eroi: racconta la realtà con i suoi chiaroscuri, con un linguaggio diretto e vicino alla vita quotidiana. Non è un libro scritto per stupire, ma per condividere. E nella sua semplicità risiede una potenza rara.

2. Perché ci ricorda che dietro ogni divisa c’è un volto.
Dietro ogni volontario della Protezione Civile – o di qualsiasi altra realtà solidale – c’è una persona con le sue fragilità, una casa, una famiglia che lo aspetta, una storia fatta di scelte, sacrifici, sogni e lutti. Mele ci mostra l’essere umano che abita la divisa, con le sue paure, le sue ansie, ma anche la sua incredibile forza interiore.

3. Perché restituisce dignità al bene silenzioso.
Viviamo in una società che celebra l’apparenza, l’efficienza, l’ego. Questo libro, invece, rende onore a chi lavora nell’ombra, a chi tende una mano senza aspettarsi nulla in cambio. A chi c’è, semplicemente, anche quando non è obbligato a esserci. È un tributo silenzioso a quella parte sana e viva del nostro Paese che spesso dimentichiamo.

4. Perché non pretende di essere letteratura, ma lo è nel cuore.
Mele non cerca lo stile raffinato né l’effetto speciale. Eppure, la forza delle sue parole sta proprio nella loro verità. Le emozioni arrivano dritte, senza filtri, e toccano corde profonde. È un libro scritto con il cuore, per chi vuole leggere con il cuore.

5. Perché può accendere qualcosa dentro di noi.
Forse, nel chiudere l’ultima pagina, ci porremo anche noi la fatidica domanda: “Ma chi me lo fa fare?”
E forse, proprio come è accaduto all’autore, quella domanda, invece di fermarci, ci metterà in cammino. Ci spingerà a guardare il mondo con occhi diversi. A riconoscere che donare il proprio tempo agli altri è, paradossalmente, uno dei modi più profondi per ritrovare sé stessi.